Le onde leggere del lago sembrano fermarsi ai suoi piedi in omaggio a questo figlio di Ancona, così giovane e già così famoso, di professione cuoco.
Tra i primi dieci d’Italia. Stefano Baiocco, chef executive di Villa Feltrinelli di Gargnano, meravigliosa villa liberty sul lago di Garda, allunga lo sguardo su quel mare che mare non è, e forse gli viene in mente il suo Adriatico, la sua città, lasciata subito dopo l’alberghiero per continuare
le esperienze iniziate da giovanissimo la sconfitta, Stefano? “Quando un mio affezionato cliente americano arriva in elicottero, si sistema nella suite migliore, prenota il tavolo più bello, chiede
una bottiglia di vino da 1.000 euro e, poi, ordina… una caprese”.
Ma Stefano è un innamorato.
“Mi dà gioia creare un nuovo piatto o confrontarmi con un collega, mi dà gioia vedere il mio
giardino che esplode in primavera, ma, soprattutto, mi dà gioia tornare a casa tardi la sera e
sentire la mia compagna che mi dice: hai visto che ore sono?”.
“Amo la pulizia in bocca e nel piatto. Non uso troppi ingredienti e cerco alla Pizzeria La Botte, alla “Corte” e alla “Luma” di Montecosaro.
Ne parla con un filo di nostalgia.
Poi tante esperienze presso i più grandi chef del mondo, da Ducasse a Ferran Adrià passando per Pierre Gagnaire e tanti altri ancora. Da tutti apprende qualcosa, anche se Parigi “mi scava il solco più profondo”. La svolta arriva un po’ prima, a Firenze all’Enoteca Pinchiorri, in una brigata di cucina numerosa e internazionale. Tecniche di lavoro nuove e prodotti mai impiegati prima gli regalano “la consapevolezza di essere diventato semplicemente ambizioso”. Ora, sul lago di Garda,
fiori e erbe entrano in maniera imperiosa nei suoi piatti, come uno stabile progetto e non come un’opzione estetica.
Si intuisce la sua forza rivoluzionaria, rifiutando inutili complicazioni stilistiche e cercando con forza la bellezza della semplicità. Piccoli quadri di sapori e di profumi in funzione della bontà del risultato finale. Sembra quasi, nel vedere le foto di Stefano tra i suoi fiori eduli, che la partita della sua bravura non sia giocata verso il resto del mondo, ma unicamente con se stesso.
Uno chef come Baiocco appartiene del tutto alla sua passione. Ore dedicate alla ricerca per pochi minuti di sublimazione, quando la sua brigata di ben tredici persone, consegna il piatto allo sguardo esigente del cliente.
“Il lavoro di squadra è fondamentale per la riuscita di una grande vittoria”. E di mantenerli tutti ben definiti. Ciò che mi interessa è comprendere le sensazioni delle persone che vengono a mangiare, capire cosa affascina loro, come a voler toccare i loro pensieri, perché, credo, che la gastronomia sia
più nella testa che nella pancia”. Acc….
A guardarlo mentre controlla l’effetto cromatico di un piatto-progetto,
si nota la sua calma spaziale, quasi lavorasse in una bottega rinascimentale.
Il lusso di questo processo è affidato al rapporto tra testa e cuore, che trasferisce nei piatti la gioia di appartenenza al mondo della cucina e al rispetto che si deve al ruolo di chef stellato.
Infatti, parlando di Cracco cuoco, che stima in maniera particolare, ci racconta, sorridendo, che gli era stata proposta la pubblicità per una nota marca di prodotti surgelati e di aver rifiutato per rispetto del suo lavoro. “Se si fosse trattato di un prodotto diverso, avrei accettato”.
E Ancona?
“Ho in testa l’intenso profumo di lavanda, che trovavo d’estate nell’aria, prima di arrivare con la mia Vespa a Mezzavalle. O il pomeriggio in un chiosco del Monte Conero in compagnia di un ghiotto panino con il profumo del pomodoro che arrostisce sulla graticola.
Sono nei miei piatti: la lavanda è diventato uno sciroppo che arricchisce un dessert e il pomodoro al gratin è una succulenta farcia di un mio raviolo”.
Tra i primi dieci chef d’Italia torna nella sua Ancona per riscoprire i sapori della nostalgia
M e r av i g l i o s o !
Il territorio non è inteso come confini geografici, ma come storia e cultura.
Solo così riusciamo a vedere in Stefano un avamposto della nostra regione e un ambasciatore del nostro territorio.
“La pasta di Aldo”di Monte San Giusto, quella dell’azienda Latini di Osimo e il vino “La regina del bosco” del suo amico Dezi sono nella sua credenza. Il suo album dei ricordi anconetani è abbastanza vuoto. Le uniche foto sono quelle degli amici, con i quali si confronta quando torna ad Ancona. Lo ha fatto a dicembre per un mese intero, durante il quale si è goduto la famiglia
e, sorpresa, il libro “Il crudo e il cotto” scritto dal sottoscritto e da Maurizio Gioacchini, per farsi sorprendere da una “piacevole malinconia” nel leggere le vite dei vecchi ristoratori di Ancona.
Da giovane studente sognava di aprire una macelleria al Mercato delle Erbe, funzionante come la Boqueria di Barcellona. Non era l’unico sogno. Gli sarebbe piaciuto “gestire un ristorante all’interno della Torre de Bosis a Portonovo con un solo tavolo, sulla terrazza panoramica. Resterà solo un sog n o . . .”.
Gli chiedo dello stoccafisso all’anconetana.
Sentite un po’: “ne sono particolarmente ghiotto, ma la concorrenza sarebbe troppo alta e non potrei
competere con mani così esperte. Non riuscirei mai ad essere ammesso all’Accademia”.
Uhhh Gesù.
Stefano è un ragazzo semplice. La sua compagna gli cucina le polpette con il sugo. Non posso fare a meno di chiedergli se ha un credo gastronomico.
E mi risponde deciso: “La cucina ha senso soltanto se abbiamo qualcuno con cui condividere le nostre emozioni”.
da il Corriere Adriatico del 10 marzo 2013 – rubrica La Domenica, di Danilo Tornifoglia